Parlando al Parlamento europeo martedì 14 luglio, il ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer ha affermato che un era probabile il graduale disimpegno degli Stati Uniti dall'Europa, e qualunque sia il risultato delle elezioni presidenziali di questo autunno attraverso l'Atlantico. In effetti, secondo lei, anche se dovesse vincere il democratico Joe Biden, come sembrano indicare i sondaggi, è probabile che il disimpegno delle forze americane in La difesa dell'Europa sia inevitabile, anche se il tono del Democratico sarà sicuramente diverso da quello del presidente Trump di oggi. La dichiarazione del ministro tedesco non ha mancato di reagire, in particolare d'oltre Atlantico, dove molte voci hanno voluto sottolineare l'attaccamento del candidato democratico ai suoi alleati. Tuttavia, nonostante queste dichiarazioni rassicuranti, sembra ovvio che gli Stati Uniti non abbiano altra scelta che ritirarsi dall'Europa negli anni a venire. Non è una questione di scelta o posizionamento politico, ma di imperativi geostrategici.
Oggi, gli Stati Uniti dispiegano in Europa quasi 64.000 uomini, ovvero quasi il 5% delle loro truppe totali, di cui più della metà di stanza in Germania, che rimane il secondo paese che ospita il maggior numero di soldati americani, 35.000, dietro Giappone, 55.000, ma davanti alla Corea del Sud, 26.000. Erano finiti 300.000 alla fine della guerra fredda, e anche più di 100.000 nel 2001. L'Asia ha avuto un percorso molto diverso, passando dai 100.000 al tacchino della Guerra Fredda, ai 78.000 di oggi, e una notevole stabilità dall'inizio degli anni 2000, nonostante gli interventi in Afghanistan e Iraq. Quello che si presentava, all'inizio degli anni 2010, come un perno dell'Oriente su basi economiche, si è infatti fermato all'inizio di un processo di competizione che ha portato al confronto tra Stati Uniti e Stati Uniti. Cina. Questo fenomeno si è successivamente accelerato con l'emergere delle opposizioni tra le ambizioni americane e quelle del presidente cinese Xi Jinping.

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