A metà marzo 2020, il Pentagono ha annunciato che avrebbe affidato studi a 3 compagnie americane il progetto di un reattore nucleare miniaturizzato destinato ad essere progettato e, potenzialmente, a fornire energia elettrica alle basi remote delle forze armate americane. I timori di vedere allestito un reattore nucleare all'interno di una base americana, e su suolo straniero, hanno ovviamente sollevato obiezioni e interrogativi, in particolare per quanto riguarda la sicurezza del dispositivo di fronte ad un attacco. Gli esempi delle catastrofi di Three Miles Island, Chernobyl e Fukushima, fanno naturalmente sorgere il timore che si verifichi uno scenario di fuga del reattore che entrerebbe in fusione incontrollata e finirebbe per fondere il suo recinto di contenimento. Tanto più che non è possibile progettare un recinto di contenimento paragonabile a quelli degli impianti civili se il dispositivo dovesse essere proiettabile.
In un'intervista rilasciata al sito americano Breakingdefense.com, Jeff Waksman, il direttore del Project Pele (dal nome della dea hawaiana del fuoco e della creazione), descrive in dettaglio l'architettura del programma, e in particolare l'uso della tecnologia TRISO, intesa a prevenire questo tipo di disastro. In modo sintetico, Combustibile nucleare TRISO, per Tristructural-isotropic, è costituito da sfere di 1 mm di diametro composte da un nucleo di ossido di uranio, circondato da tre strati di rivestimenti isotropi tra cui uno strato di ceramica di carburo di silicio, uno strato di pirocarburo e uno strato carbonio poroso. L'obiettivo di questa composizione è quello di permettere ad ogni elemento di resistere a temperature molto elevate senza rompersi, e quindi senza permettere la diffusione dell'uranio. Secondo i dati comunicati, il combustibile TRISO può resistere a temperature di 1.600 ° Celsius, ben al di sopra della temperatura di fusione dell'acciaio generalmente utilizzato per contenere il combustibile nucleare.

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